V come… vedova!

V come… vedova!

Ritrovarsi vedove è da sempre, e mi sa ovunque in giro per il mondo, una delle cose peggiori che ti possa capitare. Per l’assenza di sicurezze sociali ed economiche a cui questa situazione ti espone, soprattutto in contesti tipicamente maschili come quasi tutti quelli dell’antichità. Ma prima di tutto per gli affetti feriti, il ritrovarti meno donna perché meno moglie e meno madre: una persona dimezzata (cf. Lc 7,11-17). Letteralmente a queste donne non rimane altro che confidare in Dio. E Dio, da parte sua, non si tira certamente indietro. La vedova, da sola o molto più associata ad orfani e stranieri, viene infatti citata spesso nella Bibbia, e sempre in contesti e discorsi di tutela forte e garantita divinamente: «Padre degli orfani e difensore delle vedove / è Dio nella sua santa dimora» (Sal 68,8). Agli occhi di Dio quelli contro la vedova sono peccati ancora più terribili se possibile, e comunque da stigmatizzare: i malvagi «uccidono la vedova e il forestiero, / massacrano gli orfani» (Sal 94,6), gli scribi, oltre ad altre colpe di ostentazione, «divorano le case delle vedove» (Mc 12,40), e anche la comunità cristiana qualche colpa nei loro confronti ce l’ha, «perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove» di lingua greca (At 6,1). Da qui gli inviti pressanti dei profeti a vivere la fede in Dio anche come impegno nei confronti delle vedove e dei poveri (cf. Is 1,17; Ger 22,3; ad orfani e vedove Bernardo di Quintavalle distribuì le sue ricchezze: Fior 2: FF 1827). Per contrappasso, molte sono invece le vedove significative nella storia della salvezza: Noemi (Rt 1,3), l’innominata vedova di Uria l’Ittita circuita da Davide (2Sam 11,27), Giuditta (Gdt 17,7), la profetessa Anna (Lc 2,37), ma soprattutto un’altra vedova innominata, sorpresa da Gesù a gettare due monetine nel tesoro del tempio: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,42-44).
E molto suggestiva è l’attualizzazione che san Bonaventura fa di questo episodio rileggendolo a partire dalla vicenda di Francesco: «Nient’altro possedeva, il povero di Cristo, se non due spiccioli da poter elargire con liberale carità: il corpo e l’anima. Ma corpo e anima, per amore di Cristo, li offriva continuamente a Dio, poiché quasi in ogni istante immolava il corpo con il rigore del digiuno e l’anima con la fiamma del desiderio: olocausto, il suo corpo, immolato all’esterno, nell’atrio del tempio; incenso, l’anima sua, esalato all’interno del tempio» (LegM 9,3: FF 1167). Che è come dire che quand’anche non avessimo altro da offrire a Dio, ci rimarrebbe pur sempre la nostra semplice vita. Che sia questa la povertà francescana?
Se poi vogliamo ricordare qualche vedova “francescana”, ci basti ricordare Jacopa dei Sette Soli, la nobildonna romana, vedova di Graziano Frangipane (3Cel 37: FF 860), e Ortolana, la mamma di Chiara, che seguì le figlie a S. Damiano alla morte del marito (LegsC 22: FF 3221).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/65)

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ARTICOLO DI: Fabio Scarsato

“Fra Fabio Scarsato – Originario di Brescia, frate minore conventuale, è appassionato di san Francesco e francescanesimo, che declina come stile di vita personale e come testimonianza agli altri. È passato attraverso esperienze caritativo-sociali con minori e giovani in difficoltà, esperienze parrocchiali e santuariali nella trentina Val di Non (Sanzeno e S. Romedio), di insegnamento della spiritualità francescana, condivisione di esercizi spirituali e ritiri, grest e campiscuola anche intereligiosi, esperienze di eremo e silenzio. Attualmente vive al Villaggio S. Antonio di Noventa Padovana, ed è direttore editoriale del Messaggero di S. Antonio, del Messaggero dei ragazzi e delle Edizioni Messaggero Padova.”

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