Venerdì santo. Triduo pasquale/2
Sono spoglie le nostre chiese, tacciono le campane.
Disadorne, buie, nessuno celebra l’eucarestia nella Chiesa, in segno di rispetto per l’unico, grande sacrificio che si consuma sulla croce. Centrato sul mistero della Passione è il Venerdì Santo, tutto orientato alla contemplazione di Cristo sulla Croce.
È la giornata che fa memoria della passione, crocifissione e morte di Gesù.
In questo giorno la liturgia della Chiesa non prevede la celebrazione della Santa Messa, ma l’assemblea cristiana si raccoglie per meditare sul grande mistero del male e del peccato che opprimono l’umanità, per ripercorrere, alla luce della Parola di Dio e aiutata da commoventi gesti liturgici, le sofferenze del Signore che espiano questo male.
Nelle chiese viene proclamato il racconto della Passione e risuonano le parole del profeta Zaccaria: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37).
È vero: la Croce rivela “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità”, le dimensioni cosmiche, questo è il senso di un amore che sorpassa ogni conoscenza, l’amore va oltre quanto si conosce e ci ricolma “di tutta la pienezza di Dio” (cfr Ef 3,18-19).
Nel brano della Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni, ascolteremo la parola di Gesù che dall’alto della Croce prima di chinare il capo e consegnare lo spirito, esclama: «È compiuto».
Che bello sarà che tutti noi, alla fine della nostra vita, con i nostri sbagli, i nostri peccati, anche con le nostre buone opere, con il nostro amore al prossimo, possiamo dire al Padre come Gesù: «È compiuto», non con la perfezione con cui lo ha detto Lui, ma dire: «Signore, ho fatto tutto quello che ho potuto fare. È compiuto».
Ecco, tutto è compiuto, Dio si è donato. Senza riserve, senza misura, senza condizioni. Si è arreso alla devastante follia degli uomini, alla loro indifferenza. Quel Dio appeso, nudo alla croce, tutto per amore, solo per amore.
Tutta la vita di Francesco di Assisi addita costantemente il mistero pasquale. A San Damiano, intorno al 1205, il Crocifisso Risorto parla al giovane Francesco, in cerca di luce sulla sua vocazione: “Francesco va’, e ripara la mia casa!”.
«Da quel momento – annota la Leggenda dei tre compagni – il suo cuore fu ferito, e si struggeva al ricordo della passione del Signore. Finchè visse portò sempre nel suo cuore le stimmate del Signore Gesù, come si manifestò chiaramente più tardi, quando quelle stimmate si riprodussero nel suo corpo, mirabilmente impresse e fatte conoscere in tutta evidenza» (3Comp 14: FF 1412).
Contemplando il Crocifisso di San Damiano, Francesco intuisce l’amore di Dio: «Cristo mi ha amato, e ha consegnato se stesso per me!» (cf. Gal 2,20).
Innamorato di Cristo, inizia a meditare con sempre più partecipazione la passione del suo Signore: «Piango la passione del mio Signore, e per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo!» (3Comp 14: FF 1413).
Un amore che incendierà la sua anima e la sua vita, come attestano i suoi scritti (tra cui l’Ufficio della Passione), fino alla preghiera che prelude al dono delle stimmate, alla Verna nel 1224: «O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell’ora della tua acerbissima passione; la seconda si è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori» (FiorCons 3: FF 1919).
Sarà il grande Venerdì santo di Francesco.
Per frate Francesco l’atteggiamento cristiano del servo è quello che lui chiama “minorità” (cf. Rnb 5,19: FF 19), e infatti spesso in quei testi nei quali egli parla di minorità o di frati minori, ci sono dei riferimenti alla lavanda dei piedi.
Nell’Ufficio della passione, Francesco dedica un salmo intero a questa celebrazione della vittoria del Signore e alla sua accettazione nella storia della nostra salvezza: «Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha fatto cose meravigliose. Questo è il giorno fatto dal Signore: esultiamo in esso e rallegriamoci Cantate inni al Signore. Cantate a Lui un canto nuovo: date a Dio tutta la gloria e tutto l’onore; perché grande è il Signore e molto degno di lode; più terribile di tutti gli dei» (UffPass Salmo IX: FF 292-293).
Francesco ci invita a cantare il canto nuovo, quello dell’Agnello immolato e risorto, il canto di colui che è la nostra salvezza. Il sacrificio di Isacco ha trovato il suo compimento nella morte del Figlio di Dio, il Crocifisso-Risorto. Cristo, il Vivente, è colui che compie le attese di salvezza del Primo Testamento e di ogni uomo. La Pasqua è l’inizio di un mondo nuovo che attende la manifestazione gloriosa del Risorto.
Il Venerdì santo quindi è il momento culminante dell’amore. La morte di Gesù, che sulla croce si abbandona al Padre per offrire la salvezza al mondo intero, esprime l’amore donato sino alla fine, senza fine. Un amore che intende abbracciare tutti, nessuno escluso. Un amore che si estende ad ogni tempo e ad ogni luogo: una sorgente inesauribile di salvezza a cui ognuno di noi, peccatori, può attingere.
Se Dio ci ha dimostrato il suo amore supremo nella morte di Gesù, allora anche noi, rigenerati dallo Spirito Santo, possiamo e dobbiamo amarci gli uni gli altri.
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