Giovedì XV Settimana del Tempo Ordinario
Es 3,13-20 Sal 104 Mt 11,28-30
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56)
Avere ristoro è la consolazione, la liberazione dalle schiavitù che per ognuno ha un nome specifico. Perché possiamo vivere questa consolazione, Gesù ci chiede di essere attivi, di legarci a Lui, prendere sopra di noi il Suo giogo, la sua Parola, la sua persona. Non per essere guidati ciecamente, ma per imparare. La parola imparare, propriamente, significava acquistare, composta dal rafforzativo “in” insieme al verbo “procurare”. Allora il Signore ci chiede di prendere Lui con noi, conoscendolo, prendendone la forma, come se fosse una cosa che ci siamo acquistati, che diventa nostra. Fare nostra, e non solo per sentito dire, la consolazione di Gesù ci fa uscire dalla stanchezza e dall’oppressione, ci libera, ci ridona la forza e la gioia di camminare.
Dalla Vita prima di Tommaso da Celano [FF 519]
O prodigio degno di memoria eterna, o sacramento meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto, poiché esso rappresenta in maniera visibile alla nostra fede l’ineffabile mistero per il quale il sangue dell’Agnello immacolato, sgorgando a fiotti da cinque ferite, lavò i peccati del mondo! O eccelso splendore di quella croce che è fonte di vita e dà la vita ai morti e il suo peso preme così soavemente e punge con tale dolcezza che in essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Quanto ti ha amato Francesco, se tu l’hai così mirabilmente decorato! Sia benedetto e glorificato Dio, unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli per confortare i deboli e mediante le meraviglie visibili conquistarne gli animi all’amore di quelle invisibili!
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