Martedì V Settimana di Pasqua
At 14,19-28 Sal 144 Gv 14,27-31
“Cristo è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,14)
In greco eirénē, in ebraico shālôm, la pace già nell’Antico Testamento aveva un significato che andava oltre il semplice saluto. È l’insieme di doni che Dio ci fa. Qui Gesù parla della “sua” pace: sì, perché è il frutto della sua vittoria sulla morte. In fondo la sua pace è una persona: lo Spirito Santo. Ecco perché il mondo, cioè l’uomo con le sue forze e capacità, non può assicurarla. Non può attenderla come se dipendesse dal pacifico corso delle sue faccende, dall’assenza di contraddizioni e fatiche. Ma è la presenza dello Spirito in noi, che permane anche nelle «molte tribolazioni» (At 14,23). Possiamo custodirla solo curando la nostra relazione personale con Gesù. Lavorare per la pace vuol dire silenzio, preghiera, dono di sé senza riserve, gratitudine. La pace, in fondo, viene da ciò che Gesù è per me.
Dalla seconda Lettera ad Agnese [FF 2880] Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi, e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita e diverrà famoso tra gli uomini. Perciò possederai per tutta l’eternità e per tutti secoli la gloria del regno celeste, in luogo degli onori terreni così caduchi; parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri e vivrai per tutti i secoli.
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