Mercoledì V Settimana di Pasqua
At 15,1-6 Sal 121 Gv 15, 1-8
“Ecco il seme della pace: la vite produrrà il suo frutto, la terra darà i suoi prodotti, i cieli daranno la rugiada: darò tutto ciò al resto di questo popolo” (Zac 8,12)
Il contesto agricolo palestinese si presta alla metafora della vite che Gesù usa. Nell’Antico Testamento è un simbolo ricorrente: è lo sbocciare della vita nuova dopo il diluvio, il frutto della terra promessa, l’immagine della sapienza, la vite feconda nell’intimità della casa. Ma, soprattutto nei profeti, la vite è immagine della sposa Israele legata a Dio, suo sposo. Nel vangelo di oggi Gesù si definisce “la vite vera”, unico ceppo legato a tanti tralci. Tagliare e potare sono due azioni importanti: la prima in inverno, la seconda in primavera, entrambe rivolte ad ottenere più frutto. La potatura è attribuita prima al Padre, poi alla Parola annunciata. La Parola è dunque fonte di forza, di purezza, di abbondanza e fecondità. Il tralcio non può scegliere da solo se rimanere in questo innesto benefico. Il nostro cuore sì.
Dal Libro delle tribolazioni, di Angelo Clareno [FF 2125] Gesù Cristo disse a Francesco: «Io chiesi al Padre mio che in quest’ultima ora mi desse un popolo poverello, umile, mite e mansueto, in tutto simile a me nella povertà e umiltà, contento solo di me; che io potessi dimorare e riposare in esso, come dimora e riposa in me il Padre mio, ed esso riposasse e rimanesse in me, come io rimango nel Padre e riposo nel suo Spirito. Il Padre mio mi ha dato te e quanti per mezzo tuo aderiranno a me con tutto il cuore, con fede non falsa e carità perfetta. Io li guiderò e li pascerò; saranno figli per me, e io sarò per loro un padre».
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.