XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». Luca 16, 10-13
Così come Dio è uno, anche il cuore del discepolo deve essere indiviso. L’amore domanda l’esclusività e rifugge ogni doppiezza, così l’amore a Dio chiede che nulla gli venga anteposto e che nessun altro dio venga accostato al Dio vivo e vero. Gesù sa che il cuore dell’uomo è facilmente ingannabile dalla suggestione dell’autosufficienza che la ricchezza porta con sé e mette in guardia i suoi dall’idolatria del denaro. Facilmente la brama dell’avere si impossessa dell’uomo, il quale desidera il denaro come mezzo per giungere a ciò che realmente desidera, che è il potere. L’avarizia è sempre egolatria, tentativo di eliminare Dio e sostituirsi a lui.
Si può essere schiavi dei beni anche se si possiede poco. Non è tanto la “quantità” a metterci in pericolo, anche se la ricchezza espone alla dimenticanza di Dio con più facilità. Ciò che il Signore condanna non è in prima battuta l’avere dei beni, se sono ottenuti onestamente, quanto il desiderio che si perverte in brama di possesso, la bramosia che trasforma un mezzo per fare del bene a noi e agli altri, in un fine. Ma solo Dio è il nostro fine ultimo, il porto di ogni desiderio, la ragione di ogni bene e solo lui è degno di essere adorato. Altri “padroni” ci schiavizzano perché, occupando il nostro cuore, diventano strade di perdizione.
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