Domenica 6 ottobre 2019, XXVII TEMPO ORDINARIO
Dal Vangelo
Luca 17,5-10
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Dalle Fonti
Leggenda di Santa Chiara 24: FF 3204
La divina maestà accondiscende prontamente alla preghiera dell’eccezionale orante e si affretta a concederle quel primo dono domandato sopra ogni altro e che più piace a Dio di elargirle. Infatti, sedici giorni dopo la conversione di Chiara, Agnese, mossa dallo Spirito divino, si affretta a raggiungere la sorella e, svelandole l’intimo segreto della sua volontà, le confessa di volersi porre senza riserve al servizio di Dio. E Chiara, abbracciandola piena di gioia: “Ringrazio Dio, sorella dolcissima -le dice- perché mi ha esaudita nella mia sollecitudine per te”.
Alla vita
Parlare di “servi inutili” pare una contraddizione – se sono servi, non sono inutili, lavorano! – e potrebbe suonare pure un po’ offensivo (“Io inutile? Vediamo cosa succede se smetto di lavorare…”). Tra l’altro, gli apostoli avevano chiesto di aumentare la loro fede: perché Gesù fa questo strano discorso? La traduzione più corretta dovrebbe essere “siamo poveri servi”, o “semplicemente servi”; servi che hanno eseguito gli ordini e quindi non sentono di aver fatto niente di speciale, non hanno alcuna rivendicazione. Il servizio del discepolo – di questo si parla, non di un lavoro qualsiasi – nasce dall’esperienza di essere stato salvato gratuitamente; per questo egli non esige nessuna ricompensa, anzi, la sua ricompensa è la possibilità di donarsi al Suo Signore e ai fratelli. È ciò che capita quando ci rendiamo conto che in un servizio che svolgiamo è molto più quello che riceviamo che quello che diamo. Al contrario, se cominciamo a esigere “riscontri” forse stiamo dimenticando il tanto che abbiamo ricevuto. Allora, se la fede è smettere di confidare in se stessi per confidare in Dio, alla sua radice c’è proprio la consapevolezza del nostro essere “semplicemente servi”. Se siamo davvero convinti che è Dio che agisce e non noi, se siamo capaci di non appropriarci di nulla, allora Dio può compiere in noi le Sue meraviglie. Allora, qualunque sia la nostra chiamata, saremo come Agnese “senza riserve al servizio di Dio”.
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