La terza lettera di santa Chiara a santa Agnese: il digiuno
Nella terza lettera che Chiara scrive ad Agnese di Praga (dell’anno 1238) si parla del digiuno, probabilmente rispondendo ad una richiesta esplicita di Agnese. Dal digiuno si passa poi a un contenuto molto sostanzioso!
La «Formula vitae» data dal card. Ugolino, prescriveva il digiuno perpetuo; Agnese chiede come a S. Damiano viene vissuto. Chiara risponde in maniera esplicita in riferimento alla domanda che le è stata posta.
A noi che leggiamo oggi, può destare sgomento, ci sembra un’eccessiva austerità impossibile da imitare, e ci potrebbe stupire come un “perpetuo digiuno” possa far parte di uno squarcio di vita così ricco quale emerge poi dal contenuto della lettera, che ridonda di affetto, desideri, gioia, esultanza e gratitudine. Lettera che già nell’indirizzo mostra una più profonda amicizia fra le due: «Alla sorella [Agnese] degna d’amore più di tutte le creature mortali». Chiara usa anche per se stessa un nuovo termine: «umilissima e indegna ancella di Cristo, e serva delle signore povere», e «augura il gaudio della salvezza nell’autore della salvezza e quanto di meglio essa possa desiderare» indicando i motivi per cui si rallegra: «sono ripiena di così grande gioia e respiro di esultanza nel Signore, quanto posso fermamente constatare che tu supplisci in modo meraviglioso ciò che manca, in me e nelle mie sorelle, nella sequela delle orme di Cristo Gesù povero e umile».
Chiara rivela qualche briciola delle esperienze interiori che lei stessa vive nell’incontro con Dio, ci permette, grazie alle sue confidenze, di sbirciare nel suo cuore e in quel che la abita.
«Davvero posso gioire e nessuno potrebbe strapparmi da così grande gioia […] ti vedo infatti soppiantare in modo terribile e impensato le astuzie dello scaltro nemico, la superbia, […] e la vanità, […] e ti vedo abbracciare con umiltà, la forza della fede e le braccia della povertà il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla fece tutte le cose. […] Gioisci anche tu nel Signore sempre, o carissima, e non tiavvolga nebbia di amarezza o signora in Cristo amatissima, gioia degli Angeli e corona delle sorelle». Agnese è una gioia, non solo per Chiara e per le sorelle, ma anche per gli angeli, quasi come non ci fosse separazione fra cielo e terra.
Chiara esprime poi il paradosso cristiano di un Dio che limita se stesso: «come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme, specialmente quelle dell’umiltà e povertà di lui, senza alcun dubbio, puoi sempre portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale, contenendo Colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute, possedendo più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo».
Ma ci chiediamo: che c’entra tutto questo col digiuno? O forse non può essere proprio questo un mezzo attuale in ogni tempo, per fare spazio nella nostra umanità, nel nostro corpo, alla vita di Colui che – tesoro incomparabile – si fa piccolo, si abbassa, “digiuna” della sua uguaglianza con Dio per farsi carne, obbediente fino alla morte e abitare in noi?
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