Mercoledì 29 novembre, TUTTI I SANTI FRANCESCANI
Dal Vangelo
Giovanni 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Dalle Fonti
2 Celano 75: FF 663
Francesco ripeteva spesso che il vero frate minore non dovrebbe lasciar passare molto tempo, senza andare per l’elemosina. «E quanto è più nobile – diceva – un mio figlio, tanto più sia pronto ad andare, perché in tale modo accumula meriti». Vi era in un luogo un certo frate che non si prestava per la questua, ma valeva per quattro a tavola. Notando il Santo che era amico del ventre, partecipe del frutto, ma non della fatica, un giorno lo riprese così: «Va’ per la tua strada, frate mosca, perché vuoi mangiare il sudore dei tuoi fratelli e rimanere ozioso nell’opera di Dio. Ti rassomigli a frate fuco, che lascia lavorare le api, ma vuole essere il primo a mangiare il miele». Quell’uomo carnale, vedendosi scoperto nella sua voracità, ritornò al mondo, che non aveva ancora abbandonato. Uscì dalla Religione e chi non aveva contato niente per la questua, non contò più nulla come frate. Chi valeva molti a tavola, finì per essere un pluridemonio.
Alla vita
L’atteggiamento di Gesù esprime la volontà del Padre: volontà di vita, di accoglienza, di condurre l’uomo a essere libero da ogni morte, nel riconoscersi figlio profondamente amato, atteso, custodito. Credere in Colui che il Padre ha mandato è corrispondere all’attrazione più profonda del nostro cuore: quella che ci sospinge all’eternità, a varcare i limiti di ciò che è provvisorio, destinato al morire, per collocare fin d’ora la nostra esistenza in un orizzonte di resurrezione, di luce, di gioia abbondante. Gioia non per ingordi, ma così piena che non può restare in noi stessi, ma chiede di essere condivisa. Eppure in quanti illusori surrogati di eternità cerchiamo compensazione, a quali “abbondanze” aneliamo convinti di assicurarci il tempo, lo spazio, il benessere, il successo, l’esenzione dalla sofferenza e dalla fatica? E perché, in tutto questo, il nostro spirito rimane affamato e inquieto?
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