La cucina delle Clarisse
La cucina del monastero richiama alla mente ricchezza di tradizioni e saperi culinari, di processi lavorativi, di modalità di cottura e conservazione sedimentatisi nei secoli, custoditi e tramandati dalle cuoche anziane alle giovani, ma anche l’adeguamento ad una rigorosa disciplina alimentare che di regola i monasteri hanno adottato, limitando il piacere alimentare nella convinzione che la crescita spirituale richieda anche una mortificazione corporale attraverso forme di digiuno e astinenza. Così fecero le sorelle a San Damiano e con marcata severità santa Chiara (cf. RsC 3,8-11: FF 2768; 4LAg 29-37: FF 2895; Proc: FF 3003, nota 55). Esse pure ispirate da quella Madonna Povertà tanto amata da san Francesco che, come descritto in una sua biografia, scesa alla dimora dei frati, rimane fortemente colpita dal poco-nulla da loro posseduto allorché chiede di vedere gli ambienti, fra cui la cucina: «Preparata ogni cosa, la invitarono con insistenza a prendere cibo con loro. Ma ella disse: “Mostratemi prima il luogo della preghiera, il capitolo, il chiostro, il refettorio, la cucina, il dormitorio e la stalla, i bei sedili, le mense levigate e la vostra grande casa. Di tutto questo in verità non vedo assolutamente nulla, ma vedo che voi siete allegri, giocondi, sovraccolmi di gioia, pieni di consolazione, come se foste in attesa di avere ogni cosa a un semplice cenno”» (SCom 59: FF 2018). Possiamo pensare che pure la cucina di San Damiano ai tempi di santa Chiara fosse ben scarna e utilizzata per semplici forme di preparazione e cottura dei cibi, con un minimo arredo: un tavolo per mondare frutta e verdure di stagione, tagliare e impastare un po’ di pane e focacce, un caminetto per cuocere e scaldare una zuppa, un lavello per sciacquare… E poiché la consegna fiduciosa di santa Chiara e delle sorelle al Padre delle Misericordie le ricolmava di ogni benedizione e letizia spirituale, ivi pure Madonna Povertà avrà potuto esclamare: «…ma vedo che voi siete allegre, gioconde, sovraccolmi di gioia, piene di consolazione, come se foste in attesa di avere ogni cosa a un semplice cenno» (ivi). A memoria della cucina d’un tempo si può oggi scorgere a San Damiano, accanto al refettorio, una stanza con ampio focolare, e all’ingresso un lavandino di pietra. Ben più fornite di attrezzatura le cucine dei monasteri d’oggi. E la sorella cuoca a ragione può dar lode al Signore nel suo lavoro quotidiano, che richiede una peculiare dose di sapienza e rispetto anche nell’uso di questi beni del creato che nutrono e danno vigore al corpo: dar lode e ringraziare Dio anche nel modo accorto di preparare e cuocere il cibo, spesso donato dai benefattori. Ciò ci ricorda la fedeltà del Padre nostro nel donarci il nostro pane quotidiano: Egli pone fra le mani della cuoca forme, colori e sapori da amalgamare con cura, gratitudine e un generoso pizzico di devozione, tenendo conto delle scorte, del tempo liturgico (che prevede giorni e periodi di digiuno), nonché delle necessità delle ammalate. E anche la cucina del monastero si fa luogo sacro di preghiera e fraternità.
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