Chiara “immagine della Madre di Dio”. L’abbadessa secondo Chiara
È Tommaso da Celano nella “Lettera di introduzione destinata al Sommo Pontefice sulla Legenda di santa Chiara Vergine” che indica espressamente Chiara quale “nuova guida di donne” in quanto “immagine della madre di Dio”, esplicitando il paragone, già tessuto da Francesco nei propri scritti, tra la Vergine Maria e Chiara e le sorelle per la loro scelta di vita.
Tuttavia Maria, per Francesco, è «figlia e ancella dell’altissimo sommo Re», «madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo» (UffPass Antifona Santa Maria Vergine: FF 281), giammai “abbadessa” di “suddite”.
Un non-sense, allora, il titolo che accosta sostantivi così umanamente lontani, “madre di Dio” e “abbadessa”, e che ben potrebbero essere parafrasati e sostituiti con gli antitetici “umiltà” e “potere”? Assolutamente no!
Chiara, rivelando anche in ciò la cifra divina della propria persona, riuscì a vivere l’autorità nell’umiltà, ancella fra signore, sorella tra sorelle, ribaltando evangelicamente ogni gerarchia comunitaria sino ad allora nota.
Il capitolo X della Regola di santa Chiara, rubricato “Dell’ammonizione e correzione delle sorelle”, esprime luminosamente la volontà della pianticella di Francesco di non essere come i potenti del mondo (cfr Lc 22, 22-27), ma serva come il Figlio dell’altissimo Padre, apparso nel mondo «disprezzato, bisognoso e povero […] perché gli uomini […] fossero in lui resi ricchi» (1LAg 19-20: FF 2865), e, dunque, a ben guardare, ancella ad immagine di Maria, colei nella cui carne trovò carne il Creatore.
«L’abbadessa ammonisca e visiti le sue sorelle e le corregga con umiltà e carità, non comandando ad esse cosa alcuna che sia contro la loro anima e la forma della nostra professione» (RsC 10,1: FF 2806).
«L’abbadessa poi abbia tanta familiarità nei loro riguardi, che possano parlare e trattare con lei come le signore con la propria ancella: perché così dev’essere, che l’abbadessa sia l’ancella di tutte le sorelle» (RsC 10,4-5: FF 2808).
…Ammonire e visitare; correggere con umiltà e carità; trattare con familiarità… Chiara vuole un’abbadessa che sia persona, non un volto nascosto dietro un ufficio; vuole che sia carne incarnata, pienezza di Vita e Verità prossima a ciascuna, vicina agli ultimi, totalmente altra da sé, come lo fu Cristo, il Logos eterno fattosi uomo per gli uomini, come lo fu Maria, la più bella delle creature che chinò il proprio capo all’Altissimo il quale la incoronò Regina per farla Serva e Madre di tutta la Chiesa.
L’abbadessa sia donna, sembra dire Chiara, come donna fu Maria a Cana. E donne siano tutte le sorelle per essere spose, madri e sorelle del Signore Gesù Cristo, «sempre sollecite nel conservare reciprocamente l’unità dell’amore vicendevole» (RsC 10,7: FF 2810).
Come il sale nei cibi, il lievito nella pasta, l’abbadessa deve esserci per essere accolta, deve comandare servendo e servire comandando, in quella circolarità vertiginosa d’amore che è la Trinità, che fu l’incarnazione, libero atto di sottomissione del Creatore al “sì” di una sua creatura, libera obbedienza della creatura al proprio Creatore, povertà liberamente scelta dal Verbo.
Unità dell’amore vicendevole… ecco il nucleo pulsante di ogni potere che si fa servizio, che dev’essere esistenza per. E Chiara lo visse sino all’ultimo, consegnandolo alle sorelle quale preziosa eredità spirituale tramite le parole del proprio testamento:
«Ancora prego colei che avrà l’incarico delle sorelle, che si studi di presiedere alle altre con le virtù e i santi costumi, più che per il ruolo affinché le sue sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano non tanto per l’ufficio, ma piuttosto per amore. Sia provvida e discreta verso le sue sorelle come una buona madre verso le sue figlie, e specialmente si studi di provvedere loro secondo le necessità di ciascuna […]. Sia ancora tanto affabile e alla mano, che possano manifestare con sicurezza le loro necessità e ricorrere a lei in qualunque momento con confidenza, come sembrerà loro opportuno, tanto per sé quanto a favore delle sorelle.
Le sorelle che sono suddite, si ricordino che per Dio hanno rinunciato alla propria volontà. Perciò voglio che obbediscano alla loro madre , come spontaneamente promisero al Signore, affinché la loro madre, vedendo la carità, l’umiltà e l’unità che hanno tra di loro, porti con più facilità ogni peso che sostiene per l’ufficio e, per il loro santo tenore di vita, ciò che è molesto e amaro si converta per lei in dolcezza» (TestsC 61-70: FF 2848-2849).
Unità dell’amore vicendevole come eterno è il darsi e riconsegnarsi del Padre al Figlio nello Spirito Santo.
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