Domenica 14 giugno 2015, 11ª Tempo Ordinario
Dal Vangelo
Marco 4,26-34
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Dalle Fonti
Leggenda dei tre Compagni 63: FF 1477
Francesco decise di chiedere a Onorio III uno dei cardinali della Chiesa romana, come papa del suo Ordine, – e fu precisamente il sunnominato vescovo di Ostia, – al quale i frati potessero ricorrere nelle loro necessità. Il Santo aveva avuto infatti una visione, e fu forse questa che lo indusse a domandare quel cardinale e ad annodare l’Ordine alla Chiesa romana. Gli parve di vedere una piccola gallina bruna, con le zampette piumate come una colomba domestica. Aveva intorno una quantità di pulcini tale, che non riusciva a riunirli sotto le ali, e così i piccoli erano costretti a girarle intorno. Svegliatosi, prese a riflettere su quel sogno; e subito lo Spirito Santo gli fece capire che quella chioccia simboleggiava lui stesso. «Sono io – si disse, – quella gallina, perché piccolo di statura e bruno di colorito, e che devo essere semplice come una colomba e volare verso il cielo con le piume delle virtù. Il Signore, nella sua misericordia mi ha dato e darà molti figli, che non sono in grado di proteggere con le mie sole forze; bisogna quindi che li affidi alla santa Chiesa, la quale li proteggerà e guiderà all’ombra delle sue ali».
Alla vita
Quando un annunciatore getta il seme del vangelo sul terreno, ha fatto il proprio compito. A partire da quel momento qualcosa di divino s’è messo in moto, qualcosa che lui non può controllare, misurare, accelerare o ritardare… Spesso c’è una sonante sproporzione tra il gesto dell’evangelizzatore (la semina d’un piccolissimo seme) e il risultato finale (un albero immenso): un motivo in più per non farsi prender dall’affanno del risultato. Noi siamo chiamati a seminare, e poi a seminare, e infine a seminare. Il resto lo fa Dio.
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