Pellegrinaggio alla Verna
Da qui, dove il monte dell’Averna s’erge imponente e diverge a delta la piana Aretina, parte il mio pellegrinaggio e m’incammino su un tratturello, che s’incastra nella roccia tra un susseguirsi di alte giogaie, solchi profondi, conche naturali e gore, e mena su fin dove la cresta declina sull’antico borgo della Beccia.
Da questo passo montano, m’abbarbico per la china Anselice nel solco di Francesco su sassi tassellati in erbe selvatiche e tra asimmetrici filari di pioppi e faggi la vita s’appresenta quale essenza precaria e densa ed è greve il rumore dei passi, che premono sulle orme del Santo, che attraversò le lunghissime stazioni della Via Crucis, per varcare, nudo, la soglia del tempo infinito, ed eternarsi nel bacio con Cristo: «Io sono la porta: nessuno viene al Padre se non attraverso me» (Gv 10,9).
In quest’ascendere solitario la selva del monte, nel tempo che si dilata senza senso, passo dopo passo, la scalata stanca e affanna sotto il sole, che serpeggia tra le foglie irte delle querce, mentre innanzi si svela forgiato a fuoco il segno mistico del Tau. Lettera ultima delle fonti alfabetiche della voce del Verbo: l’Ebraico e il Greco, a segno del compimento della parola rivelata: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Ap 1,8).
Qui, frattanto, il sentiero s’inerpica ripido per un ultimo strappo fino a colmarsi sull’area del “quadrante”, che s’apre innanzi come un loggione sospeso nello spazio e fa cornice ad un vasto orizzonte, che riga sulla catena montuosa del Pratomagno, nel mentre il giorno annotta e ad est già dilunga.
Si quieta il fragore del giorno e del suo silenzio godo, cullato dal vento sotto la cupola di stelle pullulanti, in veglia agognando che s’indora l’ incanto della luce. E pensare, di contrasto, che al di là di questo spazio, nel mondo pieno di contese, le epoche passano nell’avviluppo di un rullare impetuoso di battaglie, le guerre infuriano e non danno tregua, lasciano sul campo distese di croci annodate con ginestre, a dar pace ai morti tra le ortiche, il costo della bramosia di gloria, che ripugna dispersa nella polvere.
La notte, si concede al giorno e sfumano i pensieri, l’alba riluce tra tenui bagliori, frulli di uccelli vibrano la pineta come arpe, ed è bello smarrirsi e ritrovarsi tra queste cime amene e un po’ selvagge. Col sole orami alto all’orizzonte m’incammino fin dove si frappongono e si scompongono irte rocce e tra stratificati anfratti la montagna si spacca ed un sasso imponente sporge nel vuoto, a dritta, più in là, altre anguste rocce si scagliano parallele verso il cielo e creano un baratro.
Tra quei “ruini di massi”, laggiù, in uno di quegli anfratti a mo’ di grotta, sul crudo sasso, Francesco trovò riparo per la sua ultima quaresima in gloria all’Arcangelo Michele.
Da questo luogo, dove culminò l’ascesa del santo verso il suo Dio creatore e redentore, ricevendo in dono il sigillo del Cristo sempre vivo, riprendo il cammino del ritorno, con innanzi la Chiesa di Santa Maria degli Angeli e di là, oltre il quadrante, a fronte sulla roccia, un’ imponente Croce di legno mi scuote dentro e mi restituisce al mondo, alle sue miserie e ai suoi drammi.
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.