Caccia al… dono

Caccia al… dono

Regola numero uno: si entra dalla Basilica inferiore e si gioca. Sì, perché la Basilica giocherà con noi. Basta seguire le indicazioni. Me le trovo ovunque, giusto di fronte al naso, proprio dove mai avrei immaginato di scovarle. Vale a dire sul pavimento, lungo le pareti o sul soffitto che credevo di conoscere. Appunto, credevo. Il gioco termina, dopo che siamo usciti dalla “porta principale”, vale a dire quella della Basilica superiore. È a questo punto che capita quello che non ti aspetti: una volta fuori, con grande stupore, il gioco continua nel condividere il “dono” ricevuto.
Mi piace iniziare così questo mio intervento, partendo a mo’ di “istruzioni per l’uso” o meglio di “regole” come quelle che si leggono sul fianco della scatola di un gioco di società, perché in un certo senso è di “gioco” che vorrei parlare.
Nei giorni scorsi sono stato ad un pellegrinaggio ad Assisi con un viaggio organizzato. I compagni di viaggio erano principalmente amici, colleghi con le loro famiglie e i bambini. A farci da “guida”, un frate francescano conventuale che ci ha fatto a conoscere un simpatico e inedito aspetto della Basilica di san Francesco: la Basilica “gioca” con noi. Con i suoi affreschi, le storie contenute dentro ad ognuno, i colori, i gesti, ma anche un semplice tratto mai affidato al caso, un luogo come una basilica – solo in apparenza lontano e non alla portata di tutti – ci invita, invece, a giocare. Sì, proprio così.
Mi piace questo aspetto ludico della cosa e, in un certo senso, direi che ci sta proprio. Mentre il frate spiegava ai ragazzi, e anche agli adulti, attraverso un linguaggio semplice e diretto, i significati e i valori dei coloratissimi affreschi, mi son proprio “divertito” a spaziare, e a giocare, sulle varie pareti del sacro edificio. Perfettamente a mio agio tra Profeti e Santi che, attraverso il loro atteggiamento e i loro gesti, esprimono oltre la loro santità anche la loro umanità.
Nella Basilica inferiore, e qui ci trovavamo, abbiamo potuto ammirare affreschi di santi che indossano mantelli sgargianti o tuniche candide, che cavalcavano cavalli bardati, “impreziositi“ da particolari che ne facevano destrieri da Formula 1. C’erano, poi, affreschi in cui le figure, non a caso, erano state ingigantite per dar loro quella potenza nei confronti della natura e degli uomini. A questo “gioco” non è sfuggito nemmeno lo stesso Francesco, “immortalato” addirittura con dimensioni più grandi di un albero.
Ti giri a 360° e ne vedi di tutte le sorti, come si fosse nel pieno di una caccia al tesoro. Ogni particolare, anche nascosto, ha il suo significato, un “dono” anche interpretativo per chi lo guarda.
Saliti in Basilica superiore, il “gioco” si fa ancor più interessante. Il percorso visivo, a cui ci eravamo abituati poco prima, improvvisamente cambia. In un certo senso è come se si spegnessero i colori per dare più risalto ai gesti. Quando sposti lo sguardo ti sembra, infatti, di girare le grandi pagine di un enorme e colorato fumetto che, anche senza balloon, esprime chiaramente il proprio messaggio e significato.
Qui il protagonista non cavalca più un destriero bardato, anzi non lo cavalca proprio. Non indossa mantelli sgargianti, ma un saio rattoppato. Non ha cinture borchiate e impreziosite, bensì un cingolo e, dettaglio ancor più importante, non è un gigante: egli guarda dritto negli occhi gli altri uomini, sono alla sua stessa altezza, che siano poveri o principi. La natura lo sovrasta e lo racchiude nella sua piccolezza, arricchendolo.
Più ti sposti per cercare nuovi particolari più ti rendi conto che quello che è accaduto in queste “pagine” è capitato a un uomo come tutti noi.
Giotto, attraverso questi episodi della vita di Francesco, ha voluto ricordarci non solo cosa ha saputo e voluto fare il santo (per esempio, scendendo da cavallo e andando incontro a un “povero Gesù”), ma soprattutto come noi potremmo, con la nostra buona volontà, una volta usciti dalla Basilica cercare un po’ alla volta di metterci in “gioco” e “scendere”, incontrando gli altri con semplici gesti quotidiani. Come un gesto di accoglienza o di saluto, un semplice sguardo o un sorriso che trasmetta, al nostro prossimo, un segno di umanità e speranza.
PS Se fossi stato un allievo di Giotto gli avrei chiesto di affrescare, anche in una piccola parete all’interno della Basilica superiore, la scena della crocifissione, con i santi Francesco, Chiara e Antonio insieme a Maria e Giovanni ovviamente. Su un lato, in disparte, avrei disegnato il soldato Longino con la lancia, mentre guarda il volto di Gesù non accorgendosi che il lupo di Gubbio, portato da Francesco, con la zampa alzata gli sta facendo la pipì sulla gamba.

 
“Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me”
Bibbia Francescana, Salmo 131,1

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ARTICOLO DI: Fabio Gallo

“Sono nato nel 1966 e vivo a Camposampiero (PD), sposato con 2 figlie. Ho vissuto l'esperienza di seminario a Camposampiero frequentando la scuola media e alle superiori ho studiato grafica pubblicitaria. Attualmente, lavoro al Messaggero di sant'Antonio, come grafico nella rivista Messaggero dei Ragazzi da più di vent'anni. Attraverso questo lavoro ho potuto avvicinarmi oltre alla realtà dei giovani anche alla semplicità francescana.”

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