Martedì, feria propria del 23 dicembre
Ml 3,1-4.23 Sal 24 Lc 1,57-66
“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19)
Nella tradizione ebraica, era consuetudine che il padre imponesse il nome al figlio. Era come consegnare la Torah, eredità della fede. Nella famiglia di Zaccaria si accoglie invece la novità, si sovvertono le tradizioni. In questo episodio ci sono continui passaggi tra fatti opposti: il muto silenzio e l’esplosione di lode di Zaccaria, la gioia e la perplessità della gente, il segreto e il pubblico rivelarsi di Dio, il realizzarsi di una promessa che deve però ancora compiersi. Tutto è sospeso tra rivelazione e mistero, tutto si apre al nuovo. Elisabetta, una donna anziana, decide per tutti, lei che conosceva la missione di suo figlio. Con Gesù la tradizione, anche quella religiosa, lascia spazio alla novità, come il silenzio di Zaccaria alla voce di Dio. Per far spazio alle novità di Dio è necessario zittire qualche abitudine, come anche le aspettative altrui (“…nessuno della tua parentela si chiama con questo nome!”). Il Signore ci domanda l’umile e ferma disponibilità a resistere tra il già e il non ancora, a saper attendere con fiducia le sue sorprese.
Dalla Vita prima di Tommaso da Celano [FF 500] Francesco, pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l’antico rigore, diceva: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non credeva di aver conquistato il traguardo e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo.
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