Martedì III Settimana di Avvento
Sof 3,1-2.9-13 Sal 33 Mt 21,28-32 “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?” (Gc 2,14)
Per i Padri della Chiesa, il figlio che non va a lavorare nella vigna è Israele, o almeno quella parte – qui sacerdoti e anziani del popolo a cui Gesù si rivolge – che non hanno accolto la logica del regno di Dio. La parabola di oggi è centrata sul rapporto tra il “dire” e il “fare”. Compiere la volontà del Padre non è questione di parole, ma di fatti concreti, di stile di vita. Gesù si sta rivolgendo ai capi religiosi, a coloro che presumono di potersi servire di Dio, più che servire lui e, nei fatti, non lo ascoltano. Lo hanno ascoltato invece coloro che sono considerati indegni di avvicinarsi alle cose “sacre”. Le prostitute, gli esattori delle tasse sono peccatori “pubblici”, non hanno nulla da nascondere né da difendere. Incontrando lo sguardo di Gesù, hanno sentito di aver bisogno della grazia di Dio, hanno cambiato vita. Con i “fatti concreti” dei loro cambiamenti, entrano per primi nel regno.
Dal Testamento [FF 110]
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.
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