Giovedì XXIX Settimana del Tempo ordinario
Rm 6,19-23 Sal 1 Lc 12,49-53
”Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso” (Lc 6,32-33)
Oggi il vangelo ci offre due termini importanti: “fuoco” e “battesimo”. Il fuoco – non necessariamente quello del giudizio e distruzione – richiama certamente ad una forza inarrestabile, quella che permette al fuoco di purificare e consumare le impurità. Il battesimo poi, nel contesto del viaggio verso Gerusalemme, è da intendere non in senso sacramentale, come siamo abituati, ma in senso etimologico: un’immersione profonda, una discesa verso il basso. Questo fuoco non ancora acceso, questo battesimo non ancora ricevuto, alludono al rifiuto, alla morte, alla croce che attende Gesù. Su questa premessa, capiamo meglio la divisione proprio nell’ambito degli affetti più cari. Non è certo l’obiettivo della missione, ma la conseguenza di una sincera e totale adesione al vangelo.
Dal Trattato dei miracoli (FF 836) Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia degli occhi (…) venne chiamato il chirurgo, che portò lo strumento di ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino a che non fosse reso incandescente. Il beato padre, confortando il proprio corpo scosso dal timore, così si rivolse al fuoco: «Fratello mio fuoco, l’Altissimo ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente, bello e utile. Siimi favorevole in questo momento, sii mi amico, poiché già ti ho amato nel Signore! Prego il grande Iddio, che ti ha creato, che moderi il tuo calore in modo che ora io possa dolcemente sopportarlo». Terminata l’orazione, benedisse con un segno di croce il fuoco e quindi, pieno di coraggio, attese.
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