Martedì VI Settimana di Pasqua
At 16,22-34 Sal 137 Gv 16,5-11
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11)
Sentire Gesù dire che lascia i suoi, non è facile neppure per noi che lo ascoltiamo dopo molti anni. Ci immedesimiamo nei discepoli che non avranno più la consolazione di vedere i suoi occhi e ascoltare la sua parola, si rattristano. Li capiamo… sono confusi, impauriti. E non è solo una questione affettiva verso il loro Maestro. È anche una preoccupazione missionaria: riusciremo ad annunciare la buona novella? Eppure, Gesù dice: è bene così. Non è facile comprenderlo, la loro tristezza cresce fino ad ammutolirli. Con loro ci chiediamo: perché è bene che tu Gesù non sia qui con noi da qualche parte, in carne ed ossa? L’esperienza concreta di quando qualcuno ci lascia forse ci può aiutare a capire. Quando muore qualcuno a cui abbiamo voluto molto bene, certo c’è il dolore, ma il dono che questa persona è stata, in qualche modo si “fissa” in noi. Diventa più evidente la benedizione che ha rappresentato nella nostra vita, ricordiamo con più chiarezza il suo modo di fare il bene, il suo modo di voler bene. Qualcosa di simile avviene per i discepoli, con la forza dello Spirito Santo: gli insegnamenti di Gesù si imprimono nel loro animo e il ricordo di Lui si fa più vivo.
Dalla Leggenda maggiore di San Bonaventura [FF 1057] Dopo questa visione, ritornò dai frati e disse loro: «Siate forti, carissimi, e rallegratevi nel Signore. Non vogliate essere tristi, perché siete pochi, e non vi faccia paura la mia e vostra semplicità; perché come il Signore mi ha mostrato con una visione veritiera, Iddio ci farà diventare una grande moltitudine e con la grazia delle sue benedizioni ci farà crescere in molti modi»
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