Martedì XXXII Settimana del Tempo ordinario
Sap 2,23-3,9 Sal 33 Lc 17,7-10 San Martino di Tours vescovo
“Io sono povero e bisognoso: di me ha cura il Signore. Tu sei mio aiuto e mio liberatore: mio Dio, non tardare“ (Sal 40, 18)
Il libro della Sapienza ci parla dei giusti che rimangono fedeli anche nella prova, grazie alla loro relazione d’amore con Dio. Nella breve parabola del vangelo, poi, emerge non solo la fede del singolo, ma di una comunità in cammino. Il servo impegnato ad arare o a pascolare rimanda infatti a chi lavora per gettare il seme della parola, o chi è chiamato a prendersi cura di altri fratelli. Tuttavia anche nel cammino della comunità si vive la tentazione di chiudersi, di concentrarsi sui propri bisogni immediati. O di rassegnarsi e arrendersi alle delusioni. Oppure di avanzare pretese e sentirsi migliori degli altri. La relazione vera con Dio è invece quella che sa di inutilità: “siamo servi inutili”. Innanzitutto l’uomo è “servo”: cioè non padrone di ciò che gli viene affidato. E poi addirittura inutile, se non si lascia guidare e impiegare da Dio nel modo più opportuno. La fede si fortifica e diventa più autentica quando si arriva a mettere la propria vita nelle sue mani, semplicemente, con totale disponibilità e fiducia. “Signore, so che tu farai…. Non pretendo, non mi rassegno, ma umilmente mi fido di te”.
Dalla Leggenda dei tre compagni [FF 1401]
Francesco, mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”. Quello riprese: “Perché, dunque, abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?”
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