Venerdì XXII Settimana del Tempo ordinario
Col 1,15-20 Sal 99 Lc 5,33-39
«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3)
I farisei legano l’idea di conversione al digiuno e le preghiere, vissuti come pratiche penitenziali. Perché i discepoli di Gesù, che sono peccatori, banchettano invece di digiunare? Perché Gesù si presenta non come giudice, ma come sposo. Sappiamo come, anche nell’Antico Testamento, in particolare nei profeti, la metafora delle nozze indichi la relazione tra Dio e Israele. Ecco perché Gesù parla dell’incontro con lui come una festa gioiosa, e dei discepoli come “invitati a nozze”, letteralmente tradotto con “figli della stanza nuziale”. Nella tradizione semitica, infatti, gli amici dello sposo lo attendono nella nuova casa per poi accompagnarlo ritualmente con il corteo nuziale. Poi Gesù propone una parabola che rende concreto il suo messaggio e sottolinea come il vecchio e il nuovo non stanno insieme. Il nuovo, che sia pezzo di stoffa o vino, va preservato dal compromesso con ciò che è vecchio e che può danneggiarlo. La novità iniziata con Gesù non è facile da accettare, perché il vecchio, in fondo, è noto e ci lascia tranquilli. Tuttavia, ci ricorda Gesù, è incompatibile con la sua novità.
Dalle Ammonizioni [FF 177] Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa, ivi il nemico non può trovare via d’entrata. Dove è misericordia e discrezione, ivi non è superfluità né durezza.
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