Mercoledì XXV Settimana del Tempo ordinario
Esd 9,5-9 Tob 13 Lc 9,1-6
“Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore” (Sal 18,2)
Sia il sacerdote Esdra che l’evangelista Luca ci suggeriscono oggi degli atteggiamenti per crescere nell’umiltà. Anzitutto la capacità di Esdra di riconoscere il male e chiedere perdono. Questo è il senso del suo gesto di stendere le mani al Signore. Ed Esdra non sembra disgiungere le mancanze del popolo dalle sue personali: se ne fa carico, si fa mediatore, intercessore. Poi, non dispera, ma raccoglie tutte le sue forze e si “alza dallo stato di prostrazione”. La bontà di Dio lo attrae, gli dona forza, determinazione nel fare il bene. E ancora, sa riconoscere un sollievo: cioè, pur nel dolore, rimangono tanti motivi per avere occhi che brillano di riconoscenza, perché Dio è buono. Anche i discepoli ricevono forza e potere contro il male, perché si lasciano attrarre dalla bontà provvidente del Signore che li convoca. Ogni uomo, capace di stendere le mani verso il Signore, è perdonato, liberato, reso più forte. Può davvero annunciare la buona notizia ed operare guarigioni.
Dalla Vita prima di Tommaso da Celano [FF 356]
Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».
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