Sabato XX Settimana del Tempo ordinario
Rt 2,1-3.8-11; 4,13-17 Sal 112 Mt 23,1-12
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7)
Il discorso che il vangelo ci offre è rivolto ai discepoli perché siano preservati da comportamenti falsi, che invece sono consueti tra scribi e farisei. C’è il rischio di una mentalità legalista, maniaca della casistica, incapace di distinguere le formalità dalla carità vera verso gli altri, soprattutto i piccoli. Così facendo, si perde il cuore della rivelazione di Dio. Ai tempi di Gesù, il popolo accedeva alla Torà solo tramite l’insegnamento di scribi e farisei. Gesù riconosce loro questo ruolo e questo valore: “praticate e osservate tutto ciò che vi dicono” dice ai suoi discepoli. Tuttavia usa parole forti per mettere loro in guardia da ipocrisie ed incoerenze, tranelli che necessitano di estrema attenzione ed onestà. Gesù offre anche un invito ad accogliere la fatica del vivere, con amore e spirito di servizio. È difficile? Guardiamo – ci esorta il Vangelo – all’unico vero maestro di vita: il Cristo, rivelazione del Padre.
Dalla Regola non bollata [FF 22-23] I frati, in qualunque luogo si trovano, se non possono osservare la nostra vita, quanto prima possono, ricorrano al loro ministro e glielo facciano sapere. Il ministro poi procuri di provvedere ad essi, così come egli stesso vorrebbe si facesse per lui, se si trovasse in un caso simile. E nessuno sia chiamato priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori. E l’uno lavi i piedi dell’altro.
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