Martedì XXI Settimana del Tempo Ordinario
1Ts 2,1-8 Sal 138 Mt 23,23-26
“Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?” (Eb 12,7)
Proseguendo la lettura dei “guai” che Gesù rivolge agli uomini religiosi del suo tempo, troviamo la denuncia di due “cecità”. Da un lato l’inganno in cui sono caduti i farisei è soppesare le minuzie, il “di più”, e non vedere le prescrizioni “più gravi” cioè, di maggior peso, di più grande valore, che la Torah insegna: giustizia, misericordia e fedeltà (cf Mi 6,8).
L’altra visione cieca è quella rivolta all’esteriorità a discapito di ciò che c’è nell’intimo. Ma non è ciò che sta fuori che contamina l’uomo, piuttosto ciò che si trova nel cuore (cf Mt 15,10-20). In entrambi i casi, lo sguardo è su ciò che non chiede la conversione mentre si trascura totalmente ciò che, per essere seguito, chiederebbe un costante lavorio interiore.
Gesù non dice di fare una cosa piuttosto che l’altra, ma insegna invece ad avere una visione d’insieme che sappia mettere al primo posto l’essenziale, questo permetterà poi di non tralasciare il resto.
Dalle Ammonizioni [FF 163]
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, subito si irritano. Questi non sono poveri in spirito.
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