Il Santorale Francescano
La Parola di Dio è faccenda “da compagnia”. In compagnia della Chiesa, che ce l’ha trasmessa. In compagnia di tanti cristiani che, anche a proprio rischio, la leggono, la meditano e cercano di viverla. In compagnia di tanti santi: come sant’Antonio di Padova, che ad essa ha dedicato tutto se stesso, e la sua lingua, o come san Francesco, che se l’è trovata impressa nella carne! Come santa Chiara, che ne ha fatto la regola della vita sua e delle sue sorelle a S. Damiano. Come tanti santi francescani, frati, suore, laici: conoscerli ce li rende compagni di strada, giorno per giorno, possibilità concreta per noi di una vita vissuta per Dio e i fratelli. In una santità che trascina con sé tutto il “peso” della nostra carne, della nostra storia, dei nostri sogni e delle nostre fatiche. Come le belle illustrazioni di Luca Salvagno ci mostrano…
Bartolo Bompedoni da san Gimignano, sacerdote e francescano secolare (1227-1310), beato

Bartolo nasce intorno al 1227, figlio unico dei conti Giovanni e Giuntina Bompedoni. Cresciuto, non accetta la decisione del padre che lo vuole sposato e fugge a Pisa, trovando accoglienza nel monastero benedettino di San Vito, dove vive per qualche tempo servendo i monaci malati come infermiere. Una notte gli appare in sogno Gesù risorto, che gli fa capire che non è nella tranquillità del monastero il suo futuro, ma nel dolore e nella sofferenza della croce. Lascia allora il monastero e la città di Pisa, diretto a Volterra. Qui, conosciuta l’esperienza francescana, decide di condividerla come francescano secolare. Quindi, sollecitato dal vescovo della città, accetta di essere ordinato sacerdote e poi l’incarico di cappellano a Paccioli e in seguito quello di parroco a Picchena. A questo si avverarsi la previsione del sogno: colpito dalla lebbra, la sua missione diventa confortare i lebbrosi, soffrendo con loro. Si ritira nel lebbrosario di Cellole, dove trascorre gli ultimi vent’anni della sua vita, ammirato da tutti – lo chiamano «il Giobbe della Toscana» – per come vive la sua malattia: con la letizia francescana negli occhi e nella parola, mentre il corpo si va disfacendo. Morì a San Gimignano il 12 dicembre 1310.